La scorsa volta abbiamo parlato dell’esperimento che Michelon e Morley decisero di effettuare per poter avvalorare, o meno, la tesi di Aristotele sull’esistenza dell’etere.
Ci siamo lasciati con la loro idea di dover effettuare un esperimento molto sofisticato e che decisero di utilizzare l’interferenza.
Ora vedremo l’esperimento da loro fatto ed il risultato ottenuto.
L’interferenza consisteva nello sdoppiare un raggio luminoso per poi far sovrapporre le due metà su uno schermo:
- se esse non giungevano insieme sullo schermo, quindi arrivano in controfase, si creava una figura oscura
- se esse giungevano insieme sullo schermo, quindi arrivano in concordanza di fase, si creava una figura di interferenza nella quale vi era una macchia circolare di massima intensità al centro
I raggi, però, vennero inviati in due direzioni differenti facendo si che avrebbero percepito in maniera diversa il “vento dell’etere”, quindi vennero proiettati in concordanza di fase, ossia contemporaneamente, ma:
- una nella stessa direzione in cui la terra viaggiava
- una in direzione perpendicolare
Michelson inventò, nel 1887, uno strumento geniale: l’interferometro, un apparato ottico, che era composto da una serie di specchi semitrasparenti e riflettenti che dovevano fondere insieme i fasci di luce separati che provenivano dalla stessa fonte luminosa.
Oggi l’interferometria laser si utilizza per misurare in modo accurato le distanze.
L’interferometro doveva essere girato per far si che:
- non vi fossero vibrazioni ambientali che disturbassero
- che i fasci luminosi si scambiassero i ruoli per poter far passare attraverso condizioni di massima luminosità e di buio la macchia centrale.
Per poter effettuare l’esperimento fu allestita una piscina in cemento su una base rocciosa e la stessa fu riempita di mercurio, all’interno della piscina fu messa una tavola di legno sulla quale fu posta una lastra di marmo e sopra di essa l’apparato ottico, l’interferometro, in modo tale che questo potesse liberamente galleggiare senza limite di tempo e non avere interferenze dall’ambiente, ma nulla fu osservato: pareva che l’esperimento non fosse servito a dimostrare nulla sull’etere, tanto che il fisico e filosofo austriaco Ernst Waldfried Josef Wenzel Mach (18 febbraio 1838 Brno, Cechia ; 9 febbraio 1916, Monaco di Baviera, Germania) sostenne “l’etere è una bubbola”, ma qualche anno dopo Einstein stabilì l’indipendenza della velocità della luce da chi la osserva.
Con questo esperimento avvenuto nel 1887, conosciuto con il nome di “esperimento Michelson-Morley” si dimostra che la luce che viaggia nello spazio ha una velocità indipendente e che, quindi, non si può dichiarare che esiste l’etere luminifero, come da sempre sostenuto e ribadito da Aristotele, come mezzo materiale invisibile della luce.
Con questo esperimento si verificò anche l’invarianza della velocità della luce, concetto su cui pone le basi la relatività di Einstein, e con la quale si dimostra che la velocità della luce nel vuoto non cambia nè in base a chi la osserva nè in base alla sua sorgente d’origine.
Lo stesso esperimento, però, aveva posto delle difficoltà in quanto le onde luminose debbono vibrare molto velocemente e, di conseguenza, esse avrebbero potuto propagarsi solo grazie ad un mezzo di trasporto solido in quanto sono di tipo trasversale (ossia che hanno contemporaneamente un campo elettrico ed uno magnetico e che questi sono perpendicolari uno all’altro e perpendicolari alla direzione in cui si propagano), si conosceva già che la velocità della luce è di 300.000 Km/s e questo può esistere solo se vi è un mezzo di trasporto con grande rigidità e densità: l’etere, in base ai dati conosciuti e rilevati, avrebbe dovuto essere fatto di un materiale duro e pesante, invece era impalpabile e leggero e da qui nacque quello che si conosce come “paradosso dell’etere”.
Questo esperimento fu uno dei più famosi della storia della fisica purtroppo, però, il risultato fu interpretato in modo errato.
Michelson ricevette nel 1907 il Premio Nobel per la scienza per ciò che oggi è stato dimostrato essere differente da come lui aveva pensato infatti la luce è un campo elettromagnetico oscillante e non un’onda meccanica come al tempo sostenuto.
Lo stesso esperimento Michelson-Morley è stato effettuato cent’anni dopo dall’areonautica militare americana sempre con lo scopo di scoprire se esisteva o no l’etere, detto anche ologramma quantistico (è quel fenomeno per il quale due coppie di particelle si influenzano a vicenda anche se sono a grande distanza), e dimostrare che tutto è collegato e connesso.
Ovviamente i mezzi con i quali esso è stato ripetuto sono più attuali e sofisticati, ma la cosa impressionante è che le misurazioni effettuate da Michelson e Morley, con strumenti decisamente più antichi, sono state confermate e pubblicate sulla rivista “nature”.
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La scorsa volta abbiamo parlato delle ossa degli arti superiori: la scapola (le superfici), la prossima volta parleremo di altre ossa relative agli arti superiori.
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